Segni dei tempi

recensioni storia

Pubblicato su La Voce di don Camillo, 1 settembre 2015. 

- A cura di Piero Vassallo

Fu Marx autore del paradosso secondo cui solamente l’apostasia dal monoteismo, cioè la soppressione dell’identità religiosa, poteva garantire agli ebrei della diaspora la pacifica convivenza e l’integrazione con gli alti popoli.
Freud, avanzando nella direzione indicata da Marx e anticipando Simone Weil, arrivò al punto di affermare che il monoteismo ebbe origine dall’intrusione della teologia professata dall’egiziano Mosé nell’universo di un popolo di consolidata tradizione politeista.
Al seguito di Freud, alcuni esponenti della più rovente eterodossia ebraica, Walter Benjamin, Ernst Bloch, Simone Weil, Herbert Marcuse, Jacob Taubes, facendosi interpreti
dell’avanguardia ultracomunista e precursori dell’anarchismo sessantottino, proposero addirittura il rovesciamento della teologia monoteista in un politeismo conforme al pensiero di Nietzsche (il filosofo nel quale Freud riconosceva il proprio ispiratore).
La nuova ateologia contemplava l’avversione alla divinità onnipotente e malvagia (identificata con il Dio dell’alienante religione di Mosé) e nutriva la speranza (vaga) nell’idea della bontà del ribelle (ora identificato con il Gesù immoralista delle eresie gnostiche ora con il Dioniso nietzschiano, simbolo della trasgressione coribantica).
L’avversione di Benjamin, Bloch, Weil, Marcuse, Adorno e Taubes alla tradizione monoteista non vacillò neppure davanti alla conclamata uguaglianza della loro teologia con i princìpi del cristianesimo tedesco, quel furente delirio che i neopagani di Germania usavano al fine di giustificare la persecuzione e lo sterminio degli ebrei.
La radice politeista del neopaganesimo tedesco è un’ovvia verità. D’altra parte è accertato che, alla luce di un chiuso ed esasperato monoteismo, la fede nel Dio uno e trino dei cristiani fu giudicata politeista.
Probabilmente gli autori dell’apostasia ebraica s’illudevano di disarmare l’antisemitismo di radice politeista appropriandosi degli argomenti ultimamente lanciati dai nazisti contro il monoteismo.
Sennonché, dopo la sconfitta del persecutore nazista, agli ebrei si oppose un imprevedibile nemico: l’alleanza islamica, che professava un’intransigente fede monoteista.
In Palestina, infatti, gli ebrei furono coinvolti nella guerra inedita che fu avviata, nel 1948, da antisemiti monoteisti. Guerra assolutamente anomala e imprevedibile: perfino l’accorto Ben Gurion nutriva un’idea sbagliata intorno agli arabi di fede musulmana, un giudizio che nascondeva la radice fanatica della loro incombente ostilità e alimentava una disarmata fiducia nella buona disposizione del presunto sangue fraterno (cfr. “Perché Stalin creò Israele”, prefazione di Luciano Canfora, introduzione di Enrico Mentana, Sandro Teti editore, Roma 2008).
La guerra islamica per un verso smentiva gli argomenti di Marx, di Freud e dei loro continuatori postmoderni sull’ispirazione politeista dell’antisemitismo, per l’altro verso poneva il problema di una nuova e diversa riflessione “sull’identità ebraica legata alla non accettazione di Gesù come il Messia di Israele”.
Ora la nuova situazione del problema ebraico è oggetto di un avvincente saggio, “Gli Ebrei messianici - Un segno dei tempi”, edito in Verona dall’animosa Casa editrice Fede & Cultura scritto dal gesuita Carlo Colonna per rivelare l’orizzonte cristiano dell’ebraismo e la radice ebraica della cristianità. Infine per promuovere il vero ecumenismo.
Il ritorno degli ebrei nella patria assegnata a Mosé, infatti, impone di continuare la riflessione (avviata nel 1967 dal cardinale Giuseppe Siri) sulla profezia del Vangelo di San Luca, che annuncia la fine delle persecuzioni e dell’esilio: “Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti” (Lc. 21, 24).
Non per caso, proprio alla fine della guerra conclusa con il ritorno degli ebrei a Gerusalemme, i fratelli Ruben e Benjamin Berger, fondarono la comunità di ebrei messianici, che professano la fede in Gesù Cristo e celebrano l’Eucarestia dichiarando di credere nella presenza reale del Signore.
E’ lecito affermare pertanto che gli ebrei messianici “sentono che sta per venire il tempo in cui si sanerà la prima e più fondamentale divisione della Chiesa di Cristo, quella avvenuta fin dall’inizio della predicazione del Vangelo, quando ebrei increduli e cristiani credenti in Gesù si scomunicarono a vicenda”.
Padre Colonna, che segue con passione illuminata dalla fede il cammino degli ebrei cristiani, afferma che la loro splendida avventura, oltre che a facilitare la comprensione della radice ebraica della fede cattolica, incoraggia “a pensare gli attuali ebrei che credono in Gesù, come i continuatori dei primi giudei credenti in Gesù e quindi nostri veri fratelli nella fede non li fa confluire nelle Chiese tradizionali d’Occidente e d’Oriente, ma viene vissuta in comunità, che praticano le osservanze ebraiche tradizionali”.
Il nuovo resto d’Israele, costituito per manifestare la fede in Gesù vero Dio e vero uomo, diffonde la luce necessaria a lacerare la cortina fumosa sollevata dalla considerazione pessimistica del successo planetario ottenuto dagli ebrei sessantottini, che hanno interpretato la gnosi spuria, abbandonando la fede di Mosé.


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