Pubblicato su La spelonca del libro, 8 ottobre 2015.
- A cura di Paolo Nardi
Di Hilaire Belloc, strana figura di storico e letterato mezzo inglese e mezzo francese dimenticato e pochissimo conosciuto (almeno in Italia), avevo già curato Gli ebrei, trattato (distorto dalla propaganda fascista) sulla questione ebraica negli anni immediatamente precedenti il nazismo. Ora esce, sempre Fede & Cultura, Elisabetta regina delle circostanze, saggio del 1946 dedicato alla famosissima Elisabetta I d’Inghilterra, tradizionalmente dipinta come la Regina Vergine, Gloriana, la regina più amata della storia, celebrata dai più grandi poeti, creatrice della supremazia marittima inglese, tollerante e di larghe vedute. Il cattolico Belloc intende fare piazza pulita di tutti questi miti pop e lo fa con un libro articolato, complesso, dotato di vis polemica e senza timori reverenziali: a lui interessa dimostrare che il mito di Elisabetta fu creato e utilizzato da una ristretta minoranza di persone interessate a mantenere il loro nuovo status di arricchiti in seguito alla confisca dei beni della Chiesa cattolica e dallo smantellamento dell’intero sistema monastico inglese. Non è una biografia in senso stretto, ma una ricostruzione d’epoca che abbraccia diversi aspetti: la genesi (giudicata “comica e istruttiva”) della famiglia Tudor, le complicate vicende che la portarono sul trono in seguito alla Guerra delle Due Rose, l’innamoramento di Enrico VIII per Anna Bolena che portò alla separazione dalla Chiesa di Roma, la difficile infanzia di Elisabetta, le sue tristi vicende sentimentali (lo scandalo dell’amore con lo zio adottivo Thomas Seymour, il rapporto con Francesco d’Angiò, le relazioni con il duca di Leicester e quello di Essex), la sua sterminata cultura (parlava perfettamente il greco, a riprova del rinnovato interesse della Riforma verso questa lingua in quanto risurrezione dell’antichità dalla morte e violenta reazione contro il peso dell’antica latinità), i problemi con la Scozia (legati a Maria Stuarda), il pericolo della Spagna di Filippo II (già marito della sorella di Elisabetta, Maria), l’invasione dell’Armada, la Riforma religiosa e le sue ripercussioni sull’economia, sulla società, sulla lingua e sulle arti nelle isole britanniche. Magari Belloc è un po’ datato da certi punti di vista (Enrico VIII non morì di sifilide, anche se lui sembra convinto del contrario), non cita le fonti e in alcuni casi esprime giudizi assolutamente personali (come quando definisce noiose e difficile le Instititutiones christianae di Calvino oppure nota: “C’è qualcosa di comico e allo stesso tempo di tragico nel fatto che il sangue dei Tudor, traviato, screditato e malsano, si sentisse attratto verso lo stanco sangue dei Valois”), ma il suo racconto è di largo respiro, stabilisce continui collegamenti con l’attualità e invita a non giudicare gli usi del passato (come la tortura) secondo la mentalità presente. Ammette che quella che oggi chiamiamo Inghilterra nasce dalla Riforma inglese, ma sottolinea che la lingua e la letteratura inglese (precedenti la Riforma) entrano nel pieno del loro vigore quasi contemporaneamente all’Inghilterra protestante; riconosce che l’epoca elisabettiana coincise con una nuova fioritura artistica e letteraria, ma invita a considerare che quello che noi chiamiamo periodo elisabettiano dovrebbe essere detto piuttosto periodo giacobita, visto che opere come Re Lear e La tempesta di Shakespeare appartengono al regno di Giacomo I Stuart (il Bardo di Stratford-on-Avon sopravvisse infatti per ben 13 anni a Elisabetta). Soprattutto, non disdegna una lettura socioeconomica della Riforma religiosa, da lui indicata anzi come il vero e proprio momento di passaggio dall’Inghilterra medievale all’Inghilterra moderna (come si vede anche in architettura, con la fine dello stile gotico e l’affermarsi di quello civile rinascimentale-Tudor), quando, con la scusa di dover mantenere i beni strappati alla Chiesa, l’autorità religiosa fu soppiantata da una nuova autorità più gradita, quella del monarca prima e della nazione poi (con un’evoluzione che richiese tre generazioni per essere compiuta). Elisabetta non ne fu la fautrice (l’assalto che la Corona fece ai beni monastici prese il via quando lei aveva compiuto tre anni, mentre la grande spogliazione venne completata quando ne aveva compiuti sette), ma si trovò semplicemente al posto giusto al momento giusto: una vera e propria “regina delle circostanze”, che legò il suo destino alla classe dei nuovi ricchi, aiutata in questa sua opera da William Cecil, autentico promotore di simili istanze a livello politico e creatore della Chiesa d’Inghilterra.