Tempi recensisce: “Case di Dio e ospedali degli uomini”

recensioni storia

Pubblicato su Tempi, 21 ottobre 2011. 

- A cura di Benedetta Frigerio

Parte dello studio anatomico e medico è nato nell’antica Grecia. Ma in quel periodo non c’è traccia di ospedali, lebbrosari, case d’accoglienza per orfani o prostitute. Solo con l’avvento del cristianesimo si sono sviluppate la medicina e l’accoglienza. In Case di Dio e Ospedali degli Uomini (edizione Fede e Cultura, 120 pagine, 13,50 euro) Francesco Agnoli racconta la nascita degli ospedali sorti dapprima grazie alla carità dei monaci, poi da quella di laici o altri religiosi cattolici.

Lo storico Paolo Caucci afferma: «È un fatto che la medicina e il suo sviluppo abbiano nelle loro radici il fondamento dell’ospitalità e della carità più che un interesse scientifico, che sarebbe sorto invece dall’applicazione di questi princìpi. Una carità che vedeva la sofferenza come sofferenza di Cristo. È questo che ha generato un passaggio di civiltà». Di qui la malattia non verrà più concepita come colpa e il malato non più come reietto. Perciò, i conventi aprirono le porte ai bisognosi, separando e nello stesso tempo unendo scienza medica e cura dell’anima. Nel Medioevo poi nacquero i primi ospedali. Mentre durante le pestilenze la Chiesa sviluppò ulteriori opere.

Nel testo sono presenti diversi accenni alle biografie di uomini e santi che crearono strutture d’accoglienza da fare invidia agli ospedali moderni e che fanno dire a Giancarlo Cesana nella prefazione: «Adesso sembra che non ci sia bisogno della carità ma solo della scienza e del diritto degli operatori e degli ammalati, ma in fondo gli ospedali necessitano dello stesso impeto degli ospedali di una volta». Perché «la medicina moderna guarisce, ma, curando meglio, produce malati cronici. Malattia e morte possono essere nascoste sotto lo scintillio delle apparecchiature, ma non sono meno drammatiche. I malati hanno bisogno di qualcuno che li assista oltre l’impotenza delle medicine. Altrimenti, senza amore e senza speranza, è meglio morire».


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