Bose e il tramonto della “nuova chiesa”. Una parabola dai tanti insegnamenti

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Pubblicato su aldomariavalli.it, 7 febbraio 2022. 

- a cura di Aldo Maria Valli

Come sappiamo, nel corso degli ultimi anni l’idillio ascetico del monastero di Bose è stato turbato sfociando in uno scontro senza esclusioni di colpi che ha coinvolto i monaci e le monache oltre che lo stesso fondatore, Enzo Bianchi, a cui il Vaticano ha ordinato di allontanarsi. Ma che cos’è esattamente Bose dal punto di vista canonico? In che misura la sua esperienza ecumenica può essere definita autenticamente monastica? Come si colloca il pensiero di Bianchi nel quadro della dottrina cattolica? La vicenda di Bose ed Enzo Bianchi è quindi paradigmatica della Chiesa post-Vaticano II, fatta di deviazioni dalla retta dottrina e di ambiguità teologiche coltivate con il plauso della cultura laicista e progressista e dei settori modernisti della Chiesa, solo apparentemente propensi a celebrare la sinodalità e la compartecipazione.

In proposito, ho rivolto qualche domanda a don Nicola Bux.

Don Nicola, perché occuparsi di Bose, oggi?

Perché è necessario aiutare i fedeli a conoscere la verità su Cristo, la Chiesa e l’uomo, che sono state offuscate dagli errori ed eresie propagati da uomini di Chiesa.

Che cosa insegna la parabola di Enzo Bianchi?

Che Jorge Mario Bergoglio incarna il principio di – si badi bene – contraddizione, come sanno bene i suoi ex fedeli di Buenos Aires. Infatti, senza la svendita del cattolicesimo da parte di pastori malformati e senza attributi, e papi che hanno tollerato l’equivoco, non ci sarebbe stato Bianchi né Bose. Così la vigna del Signore è stata devastata dai cinghiali del relativismo a tutti i livelli.

Il “marchio di fabbrica” di Bose è l’ecumenismo. Ma quale tipo di ecumenismo? E a quali risultati ha portato?

Bianchi ha predicato l’uscita dalle Chiese storiche per arrivare a una Chiesa “super nova” senza Roma, in barba ai principi cattolici previsti da Unitatis redintegratio. Ma, senza il Primato romano, non sussiste la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica, apostolica. Lo provano le scomuniche tra ortodossi russi e greci, nel bel mezzo della crisi ucraina. A Bose si è propagandato il falso ecumenismo.

Il sottotitolo del libro parla di Bose ed Enzo Bianchi come esempi di “transizione della nuova chiesa”. È chiaro che un “nuova chiesa” non può esserci, perché ce n’è una sola, ed è quella voluta di Gesù. Ma nei fatti c’è e ancora oggi viene proposta. Tuttavia non mancano i segni della crisi, e proprio la vicenda Bianchi rientra tra questi. Ma quali sono i segni più evidenti di questa crisi?

Il segno più chiaro della crisi e l’allontanamento dei fedeli dalle chiese – in Europa solo il 10% dei battezzati frequenta – perché nonostante i proclami sul primato della pastorale, il pasto – sostantivo da cui viene l’aggettivo – è avariato: non più dottrina, sicura, sana e pura come chiede l’Apostolo a Tito, ma polpette avvelenate da una mistura anticristica di relativismo ed ecologismo pagano.

Il teologo Antonio Livi, da noi citato nel libro, a proposito di Bianchi disse che il priore ha potuto diffondere i suoi errori e le sue ambiguità grazie all’amicizia dei mass media laicisti e all’ignoranza dei cattolici. Concorda? O c’è di più?

Dall’autodemolizione preannunciata da Paolo VI si è giunti con Bianchi al baratto del cattolicesimo col piatto di lenticchie delle ospitate sui media in nome dell’auditel, anche per la vanagloria del suddetto. Siamo al ridicolo. Non praevalebunt: infatti, cresce la persistenza di tanti fedeli nei cui cuori sta rinascendo il sacro.


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