Pubblicato su aldomariavalli.it, 14 maggio 2023.
- a cura di Fabio Battiston
Cari amici di Duc in altum, dopo gli interventi di Stefano Fontana e Francesco Avanzini, si conclude con questo articolo di Fabio Battiston il trittico di recensioni dedicate al mio nuovo libro Stato di emergenza. Il pandemonio pandemico e i nuovi totalitarismi. Nel ringraziare Fontana, Avanzini e Battiston ringrazio anche tutti voi che dimostrate sempre interesse verso i miei lavori. Quest’ultima opera è dedicata ai miei nipoti, che per ora sono cinque. Ho pensato a loro perché il libro è stato scritto soprattutto per fare memoria di ciò che abbiamo vissuto in questi ultimi anni. La tentazione di voler dimenticare in fretta è forte e comprensibile, ma se teniamo alla nostra dignità e alla vera libertà non dobbiamo dimenticare.
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di Fabio Battiston
Già il titolo del libro, Stato di emergenza. Il pandemonio pandemico e i nuovi totalitarismi, prepara il lettore alla tematica, o meglio, alle tematiche che ne costituiscono il fulcro. Gli abituali frequentatori di Duc in altum ben conoscono il pensiero e le posizioni di Valli sugli argomenti caldi di quest’inizio di XXI secolo. Ecco quindi che – dall’emergenza Covid all’inarrestabile deriva della Chiesa cattolica, dal totalitarismo “democratico” strisciante alla comunicazione globale ad esso asservita – Stato di emergenza ci consegna un mondo desolante ma di fronte al quale non dobbiamo e non dovremo mai arrenderci o rassegnarci. Di questo scenario l’autore, in modo lucido e argomentato, affronta e sistematicamente demolisce i capisaldi di ciò che lo sostiene: il cosiddetto “pensiero unico” che ha ormai pervaso la religione, la politica, le relazioni sociali e i diritti/doveri della persona. Un pensiero che sembra aver antropologicamente conquistato cuori, menti e coscienze di molti di noi. È un nemico forte e astuto che spesso si cela dietro apparenze e proposte rassicuranti, paternalistiche persino, e i cui travestimenti lo rendono “potabile” al colto e all’inclito così come all’ateo e al credente. Ma anche coloro che resistono – o cercano di difendersi da questo processo di omologazione, che genera una mostruosa ugualità – lo fanno spesso con il timore di apparire diversi, affrettandosi a chiarire la loro vicinanza ai correct di qualunque risma (politically, catholically, socially, ecologically). Ed è contro questo nemico che Valli lancia la sua sfida. Quasi un urlo – non gridato ma pacato e autorevole, com’è nello stile dell’autore – per dire con forza al mondo dell’ugualità: “Noi ci siamo; con la nostra fede, i nostri valori e il nostro voler continuare a essere liberi credenti e cittadini mai sudditi”.
Leggendo Stato di emergenza, la metafora del grido si è costantemente riproposta alla mia attenzione. Ho pensato, e non poteva essere altrimenti, all’Urlo, l’iconico stilema di una serie di famosi dipinti del grande pittore norvegese Edvard Munch. È però un urlo, quello di Valli, che non trasmette il terrore di un disperato isolamento in mezzo a un male imperante e invincibile. È invece l’anelito (a un tempo sommesso e potente) all’esistenza di una mente libera che non si rassegna a quella cupa conformità di pensieri, intelletti e coscienze che in quest’inizio di terzo millennio appare inattaccabile. È la posizione di chi non guarda angosciato al proprio essere minoranza, per poi rinchiudersi in un rassegnato esilio, ma intende affrontare con fierezza il “secolo” in cui vive, munito delle sole armi in grado di sconfiggerne i disvalori; esse sono la fede, la ragione e quella lucidità di pensiero che rendono semplici, ma al tempo stesso evidentissime, le argomentazioni che Valli propone a sostegno delle sue tesi.
Quest’essere diverso, nell’esplorazione di un mondo ormai a senso unico, Valli lo personifica con grande efficacia e ironia nella figura dell’ápota, un neologismo creato da Giuseppe Prezzolini. Il centenario intellettuale perugino costituì – insieme a Giovannino Guareschi, Indro Montanelli e Julius Evola – una delle figure che meglio rappresentò nel XX secolo l’idea dell’uomo “altro” (l’ápota) di fronte ai conformismi, le ideologie imperanti e i modi di essere/vivere di quell’epoca. Due cattolici e due non credenti non certo sovrapponibili ma accomunati dal medesimo atteggiamento di sfida verso quello che Evola definiva, già nel 1934, “il mondo moderno”. Ne troveremo ancora di queste “diversità convergenti” nei personaggi della cultura, della filosofia e della letteratura che Valli ci propone nel suo libro. E infatti egli si sente parte integrante di questa Congregazione degli ápoti, cioè di coloro che non se la bevono. Nella presentazione del libro, l’autore – citando Prezzolini – scrive a proposito di questa particolarissima categoria umana: “Prezzolini vedeva che nelle varie forze in campo prevalevano gli stessi atteggiamenti. A fronte di tutto ciò, agli ápoti era chiesto non certo di disinteressarsi, ma di fermarsi a ragionare a mente fredda e di far prevalere i valori superiori, qualcosa in grado di parlare e operare al di là e al di sopra degli interessi di schieramento e del così fan tutti”.
Ed è ancora di grandissima attualità ciò che lo stesso Prezzolini scriveva a proposito degli ápoti di fronte al conformismo imperante, e che Valli riporta fedelmente nel libro: “Oggi tutto è accettato dalle folle: il documento falso, la leggenda grossolana, la superstizione primitiva vengono ricevute senza esame, a occhi chiusi, e proposte come rimedio materiale e spirituale”. Di qui la necessità di assumere un atteggiamento diverso, una posizione “che chiede un rinnovamento continuo della mente” e di far fronte alle “magie ingannatrici” della realtà.
Parole e concetti che, con un semplice copia e incolla, potremmo tranquillamente applicare agli scenari attuali. Ma non sono solo gli insegnamenti che ci vengono dai grandi di cent’anni fa a indicare la via da seguire. Valli ci ricorda come anche nell’antichità siano scaturiti esempi di resistenza morale, incredibilmente attuali, cui fare edificante riferimento. Di grande interesse, a riguardo, il breve capitolo La lezione (dimenticata) di Antigone.
Stato di emergenza ha comunque il suo centro di gravità nella vicenda pandemica. A essa l’autore dedica diversi capitoli a partire da quello iniziale dal titolo In quel tempo. La scelta era quasi obbligata. Lo scenario Covid, infatti, con le sue implicazioni – non solo sanitarie, ma anche politiche, sociali, lavorative e, soprattutto, coinvolgenti tout court il tema dei diritti costituzionali – rappresenta in modo paradigmatico il tragico emblema di quel totalitarismo democratico che, negli ultimi tre anni, ha fatto strame delle più elementari libertà individuali e collettive, un tempo orgoglio di questo (oggi miserabile) Occidente. La personale esperienza narrata da Valli, immediatamente bollato nel suo entourage come no-vax, cattivo cattolico e nemico del popolo, credo sia lo specchio di mille e mille altre storie di tutti quelli che, come lui, hanno dovuto patire condanne senza appello – sul piano relazionale, sociale e professionale – per il solo fatto di aver voluto ragionare secondo la propria testa e coscienza.
Molti di noi avrebbero oggi modo di scrivere un pandemico e personalissimo Stato di emergenza! Da questo punto di vista, ciò che Valli racconta su quanto da lui vissuto al tempo del Covid diviene un documento di grande valore etico e religioso. Leggendo tale narrazione nelle parti in cui l’autore si scontra con l’assoluta incapacità, non già del potere sanitario bensì delle sue vittime, di comprendere, accettare o almeno confrontarsi con posizioni alternative altrui, ho pensato a una famosa frase attribuita a Mark Twain: “È molto più facile ingannare la gente, piuttosto che convincerla che è stata ingannata”.
Questo libro non è solo la testimonianza di chi non ha voluto e non vuole chinare la testa di fronte alle nuove satrapìe di questo secolo. Esso è anche un piccolo, prezioso manuale di sopravvivenza per convivere – contrastandola ogni giorno con le armi della ragione – con una Babilonia sempre più connotata dal disvalore e da un oggettivo ribaltamento dei concetti di male e di bene che sono alla base della nostra esistenza di credenti. Molto interessante, a riguardo, il capitolo La polis parallela. Strategie di resistenza.
Nel libro non potevano poi mancare le amare considerazioni di Valli sullo stato in cui versa l’attuale Chiesa cattolica temporale e su come essa non sia assolutamente in grado di rappresentare una reale alternativa a questo mondo capovolto, anzi! La personale sofferenza dell’autore nel descrivere questa situazione traspare insopprimibile in molte pagine del libro.
Un’ultima notazione deve essere dedicata all’apparato bibliografico. Quella disponibile in Stato di emergenza non è una bibliografia grande ma è senz’altro una grande bibliografia. Vero cibo per la mente. Gli autori e i loro libri, sovente citati all’interno del testo, rendono consapevole il lettore di un’importante e, per certi versi, consolante realtà: l’afflato di libertà e la volontà mai doma di esprimere e far valere idee e valori positivi è indipendente da nazionalità, culture, ideologie e, soprattutto, attraversa il tempo. Credo che di questa realtà si possa e si debba parlare come di un diritto naturale. È la sua costante e solida presenza nella storia dell’umanità che la rende tale e per ciò stesso non potrà mai essere soffocata da nessun potere, nessun dittatore e, giammai, da un qualsiasi stato di emergenza. Ma che quest’affermazione divenga prassi quotidiana dipende anzitutto da ciascuno di noi. A riguardo mi permetto qui di aggiungere, tra le tante importanti citazioni che Valli ha inserito nel suo libro, anche quella di Elie Wiesel (1928-2016), saggista e filosofo ebreo: “Prendi posizione. La neutralità favorisce sempre l’oppressore, non la vittima”.
Ecco infine ciò che Valli, al termine del capitolo Fare memoria, propone ai suoi lettori. È un invito a tutti noi ma anche un avvertimento per ciò che potrà ancora accadere nel prossimo futuro. Il conflitto, infatti, non è ancora terminato e dobbiamo tenerci pronti: “Le parole di Gandalf ne Il Signore degli anelli di Tolkien devono diventare le nostre: ‘Altri mali potrebbero venire; perché Sauron è a sua volta solo un servo o un emissario. Però non ci compete governare tutte le maree del mondo, bensì mettercela tutta a sostegno degli anni a noi assegnati, estirpando il male dai campi che conosciamo, in modo che chi vivrà dopo abbia terra sana da coltivare. Del tempo che farà non siamo noi a disporre’”.
Questo è il realismo cristiano, opposto alle distopie di tutte le ideologie che volendo mettere l’uomo al posto di Dio producono solo sofferenza e morte. Facciamo nostre anche le parole pronunciate dalla principessa Éowyn, sempre ne Il Signore degli anelli: “Non temo né morte né dolore, temo la gabbia, stare dietro le sbarre, finché l’abitudine e l’età se ne fanno una ragione”.
Stato di emergenza non è soltanto un libro. È un atto di coraggio; una piccola grande luce per illuminare questo buio periodo di tempesta. Speriamo di trovarne tante altre nel nostro comune cammino.