I “Ricami Salesiani” di don Marco Begato

recensioni Spiritualità

Articolo apparso su Medinforma, 15 gennaio 2024.  

- a cura di Tiziana Soressi.

Don Marco Begato è un giovane sacerdote salesiano nato a Meda. Ha compiuto studi classici, filosofici e musicali ed è attualmente impegnato a tempo pieno nel mondo della scuola superiore in qualità di educatore e docente.

Don Begato è anche uomo di poesia e, dopo varie esperienze di scrittura poetica, ha dato recentemente alle stampe la sua prima pubblicazione: Ricami Salesiani, edizione Fede & Cultura.

La fonte della sua ispirazione è stato l’epistolario di san Francesco di Sales (1567-1622): “In modo inatteso, – scrive nell’Introduzione – la densità delle lettere salesiane con la loro spiritualità dolce e incisiva si è trasformata in spunto poetico”.

La prosa epistolare del santo riverbera, infatti, una folgorante musicalità congiunta a una pregevole suggestione lirica che Don Begato, accostandosi in punta di piedi al genio del santo autore, ha saputo cogliere e trasformare in pura poesia. Ogni composizione della raccolta rimanda, pertanto, alla lettera dell’epistolario di san Francesco da cui è stato ispirato.

Nei suoi versi aleggia ovunque un senso profondo di confidenza in Dio e di pacificata consolazione: “Accogli a destra e a manca / il tutto / che il Re ti manderà”. Compare spesso la vibrante tensione a preparare il cuore ad accogliere Dio, “Lui che è più grande / del tuo impreparato / cuore”, perché è Lui “il Cuore che venne / a servire / facendosi somma pazienza / nel dono / di eterna presenza”.

Il vincolo di carità è invocato come “legame che non frana, / il gancio che contiene / sul fondo che non trema”.

Infatti, dentro la carità “respira l’amicizia autentica”.

Su tutto domina l’amore, al quale la poesia di Don Begato riserva accenti particolarmente accorati: “E nulla fare se non per amore. / (…) Piangono sterili, restano amare / le vite tolte all’amare l’amore”, “E tutto diviene d’amore: / persino la sorte, / persino l’amore”. Talora l’invocazione all’amore diventa quasi un sussurro: “Oh, l’amore, quella unica / violenza che non vuole / correzione”. L’amore si connette poi al valore irrinunciabile del perdono: “Dovreste ognor dimostrare / di amare tutto / e tutti / perdonare”.

Spesso la ricerca spirituale è orientata a discoprire l’essenzialità dell’essere umano e delle sue aspirazioni e si piega in versi di fulgida chiarezza espressiva: “Esser quel che siamo, / esserlo bene – / bianche come gigli / esser le rose / non conviene”.

La natura s’interseca con la limpida tenuità del verso e assume valenze metaforiche di pregevole effetto, in cui il Mistero, “un mistero d’incanto”, si manifesta: “Tardi tra valli aspre / tastiamo, (…) distratti tra deserti di fiori / e di spine. (…) Che importa / se il Mistero si dispiega / come lama di luce / tra le rocce o tra le rose?”.

Il corpo stesso viene sublimato da una nuova prospettiva esistenziale: “Vedi il tuo corpo / non più tuo: / come santa reliquia / impreziosito / una proposta d’amore all’eterno”.

Il racconto lirico non manca tuttavia di riconoscere cedimenti e fragilità: “Cuore mio, / perché tu inciampi, / e mi turbi e inquieti / e mi tradisci?”.

In quest’opera la poesia è anche monito, illuminata esortazione: “Voglia tu sempre vivere il bene”, “Armiamoci di coraggio / contro il disordine / contro gli assalti della solitudine”, “Sì, trasforma in amore l’amore”, “Trova la legge del cuore”. Viene raccomandato persino il disprezzo della morte: “Per chi piangete la morte / del vostro amico amato? / (…) Gioite invece: egli è felicità! / Muove nel vasto cielo / nel quale noi vaghiamo /naufraghi”. E il dialogo con la morte si effonde con imperturbabile vigore: “Morte ti offro tutto di me / in olocausto di serenità”.

C’è, infine, in questi versi la rappresentazione di un elevato desiderio, in cui tutta l’umanità di qualsiasi tempo si può riconoscere: il desiderio dell’eternità e della felicità. È possibile realizzarlo, qui e ora? E, se sì, come?

Don Begato, sulle orme di san Francesco di Sales, ci indica una modalità possibile: “Posso nel desiderare / attingere / l’eternità; desidero / poter sperare / di goderne; / vivo / per volere respirare / la felicità”.

L’ultima poesia della raccolta, significativamente intitolata “Congedo”, si ripiega in una confidente speranza rivolta al lettore, invitandolo a “Non maledire chi invano / s’atteggia a cantore / del Cuore”.

Qual è, dunque, il messaggio di questa singolare opera poetica? Ancora una volta, l’autore è molto esplicito e fornisce una risposta nel breve saggio di poetica religiosa che conclude la silloge: “Dagli scritti di Francesco di Sales – dice – accogliete dunque quei termini certo confessionali, che però in se stessi evocano verità profonde e comuni all’umano”. Poi termina richiamandosi al “grande mistero dell’arte”, che ci fa scoprire “l’intrinseco legame tra bellezza e verità”.

Don Begato ha cantato Cuore e Dolcezza, che sono “anzitutto tesori universali che abitano gli abissi luminosi di ognuno di noi”. Leggere i versi della raccolta significa proprio questo: immergerci negli “abissi luminosi” che ci appartengono.


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