Münster 1534: la dittatura anabattista tra sangue, violenza e isteria collettiva

recensioni Storia

Pubblicato su Radio Spada, 16 febbraio 2020.

- a cura di 
Luca Fumagalli

Il XVI secolo tedesco fu senza ombra di dubbio un’epoca oscura e brutale, attraversata dalle mille contraddizioni del nascente protestantesimo.

Emblematico, in tal senso, fu il caso della rivolta anabattista a Münster, cominciata agli albori del 1534 e conclusasi tragicamente diciotto mesi dopo. Per quanto si tratti di un avvenimento marginale nel complesso panorama politico e religioso dell’epoca, la follia di cui furono vittima gli abitanti della città tedesca ben rappresenta gli esiti nefasti di quello spirito di rivolta nei confronti di ogni autorità, civile e morale, che diede il via all’epoca moderna (naturalmente con pesanti riverberi anche nel contemporaneo).

Münster, cittadina della Germania nord-occidentale di antica reggenza vescovile, era uno dei tantissimi territori che componevano il Sacro Romano Impero. I disordini scoppiarono con l’arrivo dei primi predicatori anabattisti dall’Olanda, i quali, nel giro di poco tempo, presero il potere saccheggiando chiese e devastando conventi. Il vescovo Franz Von Waldeck ordinò allora alle sue truppe di mettere sotto assedio la città: dalla settimana di Pasqua del 1534 Münster non ebbe più alcuna possibilità di contatto con l’esterno.

Il battesimo degli adulti, la condivisione coatta dei beni, la poligamia e la legge marziale furono solo alcuni dei cambiamenti introdotti in città dal nuovo governo con lo scopo di trasformare quel piccolo angolo dell’Impero in una sorta di paradiso terrestre, un’utopia di uguaglianza e felicità. Nel frattempo, incurante delle risorse sempre più scarse, Jan di Leida, proclamato “Re di Sion” con potere di vita e di morte sui propri sudditi, non si faceva troppi scrupoli a sequestrare ogni sorta di ricchezza per crearsi una corte scandalosamente sfarzosa.

Con l’arrivo del 1535 Münster si ritrovò allo stremo: gli attacchi da parte degli assedianti erano sempre stati respinti con successo, ma ormai gli abitanti erano sfiniti. Senza più cibo è addirittura probabile che, oltre a cucinare il cuoio o a mangiare l’erba, la città si sia data al cannibalismo. Complice il morale a terra, le truppe vescovili ebbero infine gioco facile a superare le ultime resistenze e a fare piazza pulita dei “profeti” e dei loro seguaci.

La strana e terribile storia della dittatura anabattista di Münster è raccontata per esteso nell’ottimo saggio Il re degli anabattisti di Friedrich Reck-Malleczewen, pubblicato per la prima volta nel 1937 e recentemente ristampato dalla casa editrice Fede & Cultura di Verona (edizione a cui sono lieto di aver contribuito con una breve prefazione).

Il fascino del volume, al di là del pregevole racconto storico, risiede soprattutto nella sua sconcertante attualità. Quel parallelismo che l’autore notava tra la Germania del XVI secolo e i totalitarismi novecenteschi – così evidente che il libero venne messo al bando dalle autorità del Terzo Reich – può a buon ragione essere esteso anche al presente. L’ingenuità con cui gli abitanti della città tedesca si arresero alle sciocchezze predicate loro dagli anabattisti ricorda il famoso aforisma chestertoniano sulla dabbenaggine della società che ha rinunciato a Cristo e alla Sua Chiesa: «Quando la gente smette di credere in Dio, non è vero che non crede più in niente; comincia a credere a tutto».

Nella “Nuova Sion” anabattista – emblema di una Fede ridotta a strumento di potere – ognuno si inventava profeta per accampare diritti sul prossimo in un’isteria collettiva di visioni mistiche, massacri di innocenti, imprese grottesche, inganni e ipocrisie. Allo stesso modo nel mondo odierno, imbevuto di nichilismo, ogni cosa ha diritto di cittadinanza tranne ciò che è davvero essenziale.

Ecco perché le macerie di Münster, una sorta di cartolina infernale inserita a chiusura de Il re degli anabattisti, sono anche e soprattutto un prezioso monito per l’oggi.


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