Pubblicato su L'Osservatore Romano, 19 dicembre 2009.
- a cura di Guido Marini
Una delle questioni di fondo che sta a garanzia dell'autentico spirito liturgico è proprio quella del corretto rapporto tra contenuto e forma, dottrina ed espressione rituale, teologia e segno liturgico. Mantenere fermo tale rapporto consente alla celebrazione liturgica di rimanere nella verità del segno, senza scadere in ciò che, alla fine, è solo frutto dell'inventiva umana, superficiale adattamento a presunte esigenze del tempo presente, banale autorealizzazione della comunità, fare dispotico che concepisce la liturgia come semplice oggetto di proprietà e non come dono prezioso da custodire.
In questo senso l'approccio teologico alla liturgia consente di custodire la sua dimensione sacra, ovvero quella dimensione che non è lasciata all'arbitrio dell'uomo perché è dono che viene dall'alto, mistero della salvezza in Cristo, consegnato alla Chiesa perché, sotto la guida dello Spirito Santo lo renda disponibile
Allora, davvero, la liturgia è, secondo la bella e celebre definizione descrittiva della Sacrosanctum Concilium, ripresa poi più volte nel successivo magistero pontificio, "fonte e culmine della vita della Chiesa".
Leggendo le pubblicazioni di don Gagliardi, e tra esse anche il volume che oggi viene presentato, si capisce che questo tema è caro all'autore. In effetti, precisare il significato di tale definizione e stabilire una preferenza in ordine alla priorità del termine "fonte" sul termine "culmine" ha un valore non secondario. Proviamo ad illustrarne il motivo.
Tutti conosciamo il celebre testo della costituzione sulla sacra liturgia del concilio Vaticano ii, appena citato, in cui si dice: "La liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutto il suo vigore" (Sacrosanctum Concilium, 10). Come si può osservare i termini usati sono due: culmine e fonte. E questo è un primo dato importante.
Se andiamo, poi, a ricercare gli altri documenti nei quali il concilio Vaticano ii ha ripreso questa espressione, ci accorgiamo d'una piccola differenza. In effetti in Lumen Gentium al n. 11 e in Presbyterorum Ordinis al n. 5 si dice, con riferimento all'eucaristia, che questa è "la fonte e il culmine" della vita della Chiesa.
Questa differenza nell'ordine dei termini usati la ritroviamo in genere nei documenti del recente magistero: si preferisce anteporre la parola "fonte" alla parola "culmine". Potremmo dire, in conclusione, che c'è stata un'evoluzione nell'uso di questa terminologia.
E ora è lecito chiedersi: è proprio tanto importante ricordare l'esistenza di questi due termini e definirne con esattezza l'ordine di precedenza?. La risposta è sì e il motivo è il seguente: solo a partire dalla compresenza di questi due termini è possibile accostarsi a tutta intera la stupenda ricchezza della liturgia della Chiesa; e, d'altra parte, solo assicurando il loro esatto ordine di precedenza, ci è dato di gustare la verità della celebrazione liturgica.
Se la liturgia fosse soltanto "culmine" della vita della Chiesa vorrebbe dire che essa sarebbe semplicemente il punto di arrivo del nostro cammino, il termine più alto a cui tendere della nostra storia spirituale, il frutto del nostro impegno e delle nostre opere. In verità, la liturgia è insieme e ancor prima "fonte" della vita della Chiesa, vale a dire grazia, dono che scende dall'alto e che rende possibile il nostro cammino cristiano, la nostra storia spirituale, il nostro impegno e le nostre opere di santità. È, questa, la verità cattolica del primato della grazia.
Ricordo quanto afferma in proposito, soffermandosi sull'eucaristia, Papa Benedetto XVI nell'esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis: "Poiché nell'Eucaristia si rende presente il sacrificio redentore di Cristo, si deve innanzitutto riconoscere che c'è un influsso causale dell'Eucaristia alle origini stesse della Chiesa. L'Eucaristia è Cristo che si dona a noi, edificandoci continuamente come suo corpo. Pertanto, nella suggestiva circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e Chiesa stessa che fa l'Eucaristia, la causalità primaria è quella espressa nella prima formula: la Chiesa può celebrare e adorare il mistero di Cristo presente nell'Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificio della croce. La possibilità per la Chiesa di fare l'Eucaristia è tutta radicata nella donazione che Cristo le ha fatto di se stesso" (n. 14).
Come a dire che l'eucaristia, e con essa tutta la liturgia, è prima fonte e poi culmine della vita della Chiesa.
D'altra parte, non è questa anche la nostra personale esperienza nella vita della fede? Parlo per un istante di me; ma parlando di me, sono certo di dare voce anche a ciascuno di voi. Quando torno indietro con il pensiero e mi fermo a considerare la storia della mia vocazione, mi appare sempre nitidissimo l'intervento del Signore che, con la sua grazia, ha preceduto e reso possibile la mia risposta. Non sono io che ho amato Dio, è Dio che ha amato me per primo. Se talora mi accade di pensare di essere stato io in qualche momento l'artefice della ricerca di Dio, subito, a un esame più attento, mi accorgo che la mia ricerca è stata possibile perché Dio per primo ha cercato me. E questo mi accade ogni giorno, nello svolgersi di quella vocazione quotidiana che, lo sappiamo bene tutti, è la storia di ciascuno di noi con Dio. Così mi dico e vi dico: la mia, la nostra vocazione è stata una splendida liturgia! La mia, la nostra quotidiana storia di fede è una splendida liturgia! Gesù Cristo è il culmine della nostra vita, vale a dire la meta a cui tendiamo, perché anzitutto ne è stato e ne è la fonte.
Ecco, dunque, perché è importante ricordare l'esistenza di questi due termini e definirne con esattezza l'ordine di precedenza. Ed è quello che don Gagliardi con molta chiarezza fa nel suo testo.