Nel "Silmarillion" i Noldor, nella loro smania di conoscenza, creano specializzano la lingua e creano la scrittura nella forma della calligrafia: un ulteriore tassello di quel processo di frammentazione che caratterizza tutto il legendarium tolkieniano di cui parla Verlyn Flieger nel suo "Schegge di luce".
Contrariamente al destino di Elfi e Uomini, espresso chiaramente, quello dei Nani è più incerto, perché essi non sono figli di Ilúvatar ma risultato della sub-creazione di Aulë. Ci sono delle credenze su di loro da parte degli Elfi e degli stessi Nani, ma bisogna vedere quanto vere sono e non il risultato di "si dice" che si sono ibridati tra loro, a cominciare dal loro ruolo dopo la Dagor Dagorath, la Battaglia Finale.
Maeglin, il traditore della città di Gondolin, è un altro personaggio caratterizzato dall'interazione tra luce e ombra, ma nel suo caso vince l'ombra. Pesantemente caratterizzato dalla storia dei suoi genitori, anche lui ripercorre la vicenda del padre Eöl, nonostante il suo rapporto simbiotico con la madre: per questo Maeglin viene contaminato dal seme del rancore e, più tardi, del tradimento. Il suo amore per Idril è possessivo, malato e tossico, e si mescola alla sua sete di potere, conducendo la vicenda alla tragedia.
Nel film di Peter Jackson gli Hobbit arrivano da Hobbiton a Brea in brevissimo tempo, come se il villaggio fuori dalla Contea fosse subito dopo il fiume Brandivino. Nel romanzo di Tolkien, invece, ci sono tutta una serie di episodi e avventure in più: l'incontro con il Fattore Maggot, la Vecchia Foresta e il Vecchio Uomo Salice, Tom Bombadil e i Poggitumuli. Ma anche i personaggi sono abbastanza diversi da quelli che vediamo rappresentati nel film, a partire proprio dai quattro Hobbit protagonisti.