Pubblicato su Il Fatto Quotidiano, 8 aprile 2024.
a cura di Fabrizio D'Esposito
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L’indiscrezione era nota da almeno due lustri, da quando l’argentina Elisabetta Piqué pubblicò Pope Francis. Life and Revolution. Si è chiesta infatti Julia Meloni, clericale di destra, nel suo La Mafia di San Gallo, ristampato di recente da Fede & Cultura: “Perché dopo il Conclave, tornato in Argentina, girava voce che Bergoglio si fosse sentito ‘usato’ dal partito anti-Ratzinger?”. E adesso, arrivata alla fine di marzo, c’è la clamorosa conferma del diretto interessato, oggi papa, che sceglie proprio il verbo usare: “È successo che sono arrivato ad avere quaranta dei centoquindici voti nella Cappella Sistina. Erano sufficienti per frenare la candidatura del cardinale Joseph Ratzinger, perché, se mi avessero continuato a votare, non avrebbe potuto raggiungere i due terzi necessari per essere eletto papa”. Parliamo del conclave dell’aprile del 2005, quello che elesse Benedetto XVI quale successore di Giovanni Paolo II. Continua Bergoglio: “Mi hanno detto, più tardi, che non volevano un papa straniero. Usavano me, ma dietro stavano già pensando di proporre un altro cardinale. Non erano ancora d’accordo su chi, ma stavano già per lanciare un nome”. Così “ho detto a un cardinale latinoamericano, il colombiano Darío Castrillón: ‘Non scherzare con la mia candidatura, perché adesso dico che non accetterò, eh? Lasciami qui’. E lì Benedetto fu eletto”. Fin qui, dunque, la rivelazione francescana, contenuta insieme ad altre in un libro appena uscito in Spagna: El Sucesor del giornalista Javier Martínez-Brocal, in cui Bergoglio racconta i suoi “ricordi di Benedetto XVI”. In realtà, come ha notato lo storico Giovanni Maria Vian, già direttore dell’Osservatore Romano, in un’intervista al Corriere della Sera “la cosa più sorprendente nel racconto di Francesco è l’assenza totale del nome del cardinale Carlo Maria Martini”. In tutte le ricostruzioni sul Conclave del dopo-Wojtyla, il cardinale simbolo dei progressisti (morto nel 2012) sembra infatti aver giocato un ruolo decisivo durante le quattro votazioni di quell’aprile del 2005. La prima e più nota ricostruzione resta quella del vaticanista Lucio Brunelli apparsa su Limes nello stesso anno dell’elezione di Ratzinger. Basato sul diario segreto di un anonimo cardinale, lo scoop di Brunelli riporta i numeri dei quattro scrutini avvenuti tra lunedì 18 e martedì 19 aprile. Ratzinger, decano del sacro collegio, fu da subito il candidato della continuità con Giovanni Paolo II e registrò 47 voti. Il fronte opposto si divise tra Bergoglio, 10 voti, e Martini, 9. Entrambi gesuiti, l’allora arcivescovo di Buenos Aires e quello emerito di Milano non avevano però un grande rapporto: ad allontanarli in passato era stata la teologia della liberazione, avversata da Bergoglio. Il momento decisivo fu al terzo scrutinio, nella mattina di martedì: Ratzinger 72, a cinque voti dai due terzi richiesti dalla Costituzione Universi Dominici Gregis del 1996, e Bergoglio 40, ossia un consenso sufficiente a impedire l’elezione del tedesco fino al trentaquattresimo scrutinio, dopodiché il quorum sarebbe sceso alla maggioranza semplice più uno.
(Continua)