Pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana, 26 giugno 2017.
- A cura di Ermes Dovico
Dall’ascesa al potere di Erode il Grande (re di Giudea dal 37 a.C. alla morte), con tutto quanto significò per Israele e non solo, all’editto di Milano del 313. Le antiche fonti della Fede (Fede & Cultura, pp. 76, € 10), ultimo lavoro di Stefano Biavaschi, è un documento utile che ricostruisce in modo sintetico le fasi cruciali dei primi tre secoli del cristianesimo, attingendo ad alcuni dei maggiori autori dell’antichità, oltre chiaramente a brani tratti dal Nuovo Testamento. Tra le fonti a cui ricorre Biavaschi, insegnante e collaboratore della rivista di apologetica Il Timone e di vari altri quotidiani, c’è Eusebio di Cesarea (265-340), a lungo vescovo dell’omonima città della Palestina, vera miniera - particolarmente allora - di informazioni scritte e orali sulle origini della cristianità.
È a Cesarea Marittima che san Paolo, perseguitato da un gruppo di Giudei in cerca del momento opportuno per ucciderlo, era stato tenuto prigioniero per circa due anni dai Romani, seppur con una certa libertà che gli consentiva ad esempio di essere assistito dagli amici (At 23-26) e perciò di comunicare con loro. Sempre a Cesarea, Origene (185-254) aveva fondato una ricca biblioteca, successivamente ampliata da Eusebio, “il più grande filologo della Chiesa antica” e “primo storico del cristianesimo”, per usare le parole pronunciate da Benedetto XVI nell’udienza generale del 13 giugno 2007 a ricordo di questo noto Padre della Chiesa. Da studioso e viaggiatore infaticabile, capace di raccogliere per tutta la Palestina papiri e pergamene sulla vita degli apostoli e delle prime comunità cristiane, Eusebio dedicò 25 anni di ricerche per completare i dieci libri della sua opera più nota, la Storia Ecclesiastica, con una chiara visione cristocentrica. Scritta perlopiù quando non erano ancora terminate le persecuzioni, la Storia Ecclesiastica riporta in modo organico una serie di informazioni, alcune delle quali rischiavano di andare perdute, grazie a cui si può rispondere a domande come: che cosa successe agli apostoli dopo i fatti narrati nelle Scritture? Quale martirio subirono? Chi furono i loro successori e chi, in particolare, prese il posto di Pietro?
Come ricorda Biavaschi, Eusebio inizia la sua catechesi storica parlando di Erode in quanto con quest’ultimo, un non israelita nominato dal Senato romano, fu rotta un’antichissima tradizione regale e “vennero meno […] i capi che dopo Mosè governarono per diritto di successione sul popolo giudaico” (Storia Ecclesiastica, libro I). La scelta, per motivi politici, di un re straniero nella Giudea fu un segno del passaggio dall’Antica Alleanza alla Nuova, che gettava nuova luce sull’Antico Testamento: “Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli” (Gn 49, 10). Cioè Cristo. Come ulteriore segno della 'rottura' dell’Antica Alleanza, con Erode cessò anche la successione ereditaria del sommo sacerdozio, visto che il re straniero iniziò a nominare sacerdoti di suo gradimento, secondo una pratica continuata dal figlio e dai suoi successori e di cui troviamo testimonianza già negli scritti di Flavio Giuseppe (37/38-100). Tutti segni che era arrivata la pienezza dei tempi e che si stavano compiendo le profezie messianiche dell’AT, dalla Genesi al profeta Daniele.
Nell’opera di Eusebio c’è poi ampio spazio per la ricostruzione della successione apostolica fino al suo tempo e di quella petrina in particolare, già rintracciabile in più antichi elenchi come quelli di Egesippo (160 circa) e di Ireneo di Lione (180 circa), che attestavano l’importanza di un fatto – il legame dei vescovi con gli apostoli e di questi con Cristo – di cui la Chiesa è sempre stata consapevole, come appare evidente già negli stessi Vangeli e nel resoconto degli Atti degli Apostoli sulla successione di Mattia a Giuda.
Oltre che a Eusebio di Cesarea, nel suo lavoro di ricostruzione degli albori del cristianesimo Biavaschi si rifà ad altri autori come Flavio Giuseppe, Filone L’Alessandrino (ca 20 a.C. – 45 d.C.), sant’Ireneo di Lione (130-202), san Giustino martire (ca 100-164), Plinio Il Giovane (61/62-113/114) e in particolare al suo epistolario con l’imperatore Traiano (53-117) che dà conto della saldezza nella fede dei cristiani di fronte a torture e persecuzioni. Sempre interessante è poi la spiegazione, suffragata dalle fonti, di come si sia formato il canone del Nuovo Testamento, perché ricorda come la verità storica sia lontana anni luce dalle sempreverdi falsificazioni tornate alla ribalta con i romanzi alla Dan Brown, la cui fantasia ha purtroppo confuso anche diversi credenti.