Pubblicato su Ricognizioni, 7 febbraio 2014.
- A cura di Giovanni Lugaresi
Nell’ultima stagione della sua lunga vita (1882-1982) Giuseppe Prezzolini, sempre più pessimista sugli uomini e sulle cose di questo mondo, si chiese, lui “interventista intervenuto” (per usare un’espressione emblematica di Renzo De Felice), se fosse stato opportuno porre fine all’Impero austroungarico. Con ciò suscitando la polemica reazione del mazziniano “storico” Aldo Spallicci che rispose alla “provocazione” apparsa sulle pagine del Resto del Carlino, per (ovviamente) contraddirlo.
Erano gli anni Settanta del Novecento; è trascorso quasi mezzo secolo da quella polemica, ma a farcela tornare alla mente sono state le pagine di un libro affascinante: per contenuto e per scrittura.
Si tratta di “Finis Austriae. La santità dell’ultimo imperatore” (Fede & Cultura; pagine 181, Euro 18,00). L’ha scritto una studiosa della Mitteleuropa, cultrice di storia e narratrice di notevole dignità: Romana de Carli Szabados, esule da Pola, che ripercorre la vicenda di Carlo I d’Austria, successore del prozio Franz Joseph nel 1916, in piena guerra, cercando di porre fine a quella che Papa Benedetto XV aveva definito “inutile strage”.
Ma il testo di Romana de Carli Szabados non è soltanto la biografia di Carlo I d’Absburgo, ultimo imperatore d’Austria, re d’Ungheria e Boemia, eccetera eccetera (1887-1922), beatificato nel 2004 da Giovanni Paolo II, bensì (anche) un affresco di quella che fu definita “Austria felix”, un impero plurietnico e plurilinguistico, un mondo, uno spirito, una temperie affogati per così dire in un bagno di sangue spaventoso, quello della Grande Guerra, preludio a un altro terribile conflitto. Finis Austriae ma pure finis Europae…
Con felice vena narrativa, come si accennava, l’autrice ci coinvolge in quel mondo e tratteggia a tutto tondo le fisionomie di personaggi indimenticabili: oltre al protagonista, per esempio, la moglie Zita di Borbone Parma (quindi italiana), figura di alto spessore morale, di uno stile di vita, di comportamenti, riassumili in due parole: alta dignità – a proposito, anche per lei è aperto il processo canonico per la beatificazione!
Ma torniamo a Carlo. Uomo di elevate spiritualità, non di meno ben consapevole della realtà nella quale si trovava ad operare come capo di un impero… in disfacimento. Romana de Carli Szabados evidenzia nei particolari i tentativi (trattative segrete) di porre fine alla guerra da lui intrapresi nel 1917, tentativi andati regolarmente a vuoto per diverse ragioni, non ultimi, il rifiuto da parte dell’Italia (che non voleva tornare alla condizione prebellica) da un lato, e l’avversione dell’elemento ungherese e di quella parte pangermanica dell’Austria dall’altro, nonché della Germania stessa che voleva una “pace vittoriosa”!
Profondamente religioso, Carlo diede un’impronta sobria alla vita di corte, decidendo fra l’altro di mangiare pane nero, lasciando quello bianco ai soldati feriti.
Zita gli aveva dato sette figli; il primogenito, Otto (morto nel 2011 a 98 anni) è stato, come noto, un convinto europeista ed esponente del Parlamento europeo.
Finita la Grande Guerra, e con la finis Austriae, Carlo andò in esilio con la famiglia in Portogallo, a Madeira, dove morì nel 1922, a soli trentacinque anni, per una tremenda polmonite. Negli ultimi momenti di vita volle al capezzale il primogenito Otto, volendogli mostrare come moriva un imperatore: pregando, con il nome di Gesù sulle labbra. Ma soprattutto dimostrò come doveva morire un cristiano autentico.