Paolo Nardi recensisce "Gli Ebrei"

recensioni storia

Pubblicato su La spelonca del libro, 16 novembre 2012. 

- A cura di Paolo Nardi

Diciamoci la verità: questo Hilaire Belloc, grande letterato, saggista, amico di G.K. Chesterton e uomo politico franco-inglese di fede cattolica, non lo conosce proprio nessuno. Non l’avevo mai sentito nominare nemmeno io, che mi sono trovato a curare la riedizione di questo suo controverso pamphlet intitolato Gli Ebrei, pubblicato a Londra nel 1924 ma uscito in Italia solo dieci anni più tardi a sostegno delle teorie nazifasciste di segregazione razziale. Una pregiudiziale mica da ridere, insomma, con l’aggiunta dell’adesione a una serie di classici stereotipi antisemiti piuttosto diffusi all’epoca, anche se è bene precisare che lo stesso Belloc chiarisce di non essere antisemita e che, anzi, alcuni dei suoi migliori amici sono ebrei (con i quali, sempre a suo dire, non si sente minimamente a disagio). Addirittura, spende un intero capitolo a denunciare e persino ridicolizzare l’antisemitismo in quanto mania e fanatismo che porta a immaginare gli ebrei responsabili di tutti i mali del mondo, dalla diffusione di capitalismo e bolscevismo alle sconfitte belliche. Invece di negare l’esistenza di una “questione ebraica”, come ai suoi tempi era già di moda fare, Belloc cerca di capirla e di risolverla, magari non riuscendoci, ma analizzando le problematiche religiose e politiche sollevate dall’azione dell’ebraismo militante in Europa. Non fa sconti a nessuno ed elargisce responsabilità a tutto campo, comprese quelle di alcune comunità ebraiche che per una certa opinione pubblica già ai suoi tempi erano intoccabili ma che in realtà si misero in conflitto con le società che ospitavano e legittimavano. Il suo particolare punto di vista presuppone che gli ebrei (nonostante i loro tentativi di fingersi dei normali cittadini) sono un corpo estraneo rispetto alla civiltà occidentale e non sono in alcun modo assimilabili, tanto da invitare gli Stati europei a prendere provvedimenti legislativi per sancire una discriminazione di questa minoranza che, in nome di una pretesa superiorità, nutre una naturale indifferenza per il sentimento nazionale e trama nella segretezza per realizzare i propri interessi sovranazionali (riassumibili in una sola sinistra entità: la finanza). La soluzione proposta dall’autore è quindi quella non della persecuzione o dell’eliminazione, bensì quella della “segregazione amichevole”, da lui definita come il riconoscimento tanto da parte degli ebrei quanto dei non ebrei di una cittadinanza ebraica separata, quasi fossero degli stranieri in patria. Una teoria, insomma, molto opinabile, che però va contestualizzata nella temperie culturale e politica dei difficili anni nei quali fu scritto (evidente anche dal tono e dal linguaggio utilizzato). Andando al di là dell’opinione personale di Belloc, ci si può rendere conto di quanto egli, nell’analizzare il montare dell’odio e della propaganda antisemita in Europa, sia stato in realtà profetico nell’anticipare le persecuzioni naziste, sostenendo chiaramente che, se non si fosse fatto qualcosa, l’ostilità sarebbe presto passata dalle parole ai fatti, fino a giungere alla previsione che la costituzione di uno Stato sionista in terra palestinese avrebbe sollevato un conflitto con i musulmani dell’area del Vicino Oriente. A patto di non lasciarsi fuorviare e avvelenare il fegato per motivazioni ideologiche, una lettura che, nonostante molti particolari non condivisibili, potrebbe rivelarsi addirittura interessante.


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