Pubblicato su La spelonca del libro, 19 marzo 2015.
- a cura di Paolo Nardi
Giunto al quinto romanzo (dopo I necromanti, Il trionfo del re, Vieni ruota! Vieni forca! e Il padrone del mondo) di Robert Hugh Benson da me curato per Fede & Cultura posso dire di essere ormai divenuto un esperto di questo autore di inizio Novecento figlio dell’arcivescovo di Canterbury e divenuto prete cattolico, instancabile romanziere, articolista, conferenziere e chi più ne ha più ne metta. È ora la volta de La tragedia della regina, ancora ambientato in epoca Tudor e nel periodo delle persecuzioni religiose (come Il trionfo del re e Vieni ruota! Vieni forca!) ma questa volta incentrato sulla triste figura della regina Maria, passata alla storia con l’appellativo di “Sanguinaria” (la famigerata Bloody Mary) grazie a secoli di propaganda anticattolica che hanno fatto di tutto per screditarne la memoria. La sua vita è narrata attraverso gli occhi di Guy Manton, un cortigiano arrivato a corte per servirla in occasione del suo matrimonio con Filippo II di Spagna, e il ritratto che ne deriva non è per niente idilliaco, anzi è teso ad affrontare le molte ombre che caratterizzarono il regno di questa sovrana: in questo, il romanzo è molto diverso rispetto agli altri di Benson, tutti caratterizzati da una concezione eroica della lotta dei “buoni” cattolici contro i “cattivi” protestanti (principale caratteristica di Vieni ruota! Vieni forca!). La tragedia della regina si configura invece come uno scavo psicologico di un personaggio contraddittorio della storia inglese, con una maturità che non ci si aspetterebbe da Benson: l’autore è infatti deciso a cogliere la frustrazione e gli errori che caratterizzano l’esperienza di una regina incapace di comprendere l’umore del suo popolo e della sua corte nel ristabilimento della religione cattolica (messo in atto attraverso metodi piuttosto sbrigativi come i roghi, che Benson non nega, anzi) e descrive i suoi sogni spezzati in seguito al fallimento del suo matrimonio e la rabbia di dover lasciare il trono alla sorella Elisabetta (tratteggiata come la classica troietta intrigante) con il rischio (o la certezza) di una nuova politica di protestantizzazione del Paese. Maria è insomma una vera e propria loser destinata alla sconfitta che, prima di essere la regina della tentata restaurazione cattolica, è una donna in carne e ossa, con pregi (pochi) e difetti (tanti). Inoltre, come in Vieni ruota! Vieni forca!, gli spagnoli non vengono visti affatto di buon occhio anche se cattolici, come prova il ritratto ben poco lusinghiero di Filippo II, marito fedifrago e insensibile: insomma, cattolici sì, ma pur sempre inglesi e fieri di esserlo. A fronte di qualche bella trovata (la morte della sovrana raccontata attraverso il racconto delle immagini direttamente dalla mente della morente) il romanzo presenta i canonici difetti della produzione di Benson: interminabili descrizioni di ambienti e di oggetti, staticità della narrazione e impianto teatrale della scene, personaggi in gran parte anonimi e con i quali è difficile entrare in empatia.