Pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana, 23 novembre 2011.
- A cura di Andrea Zambrano
La mossa più ardita è stata stoppata. All’inizio doveva essere una barca, al centro della quale stava un albero stilizzato. Ribaltate il tutto e otterrete una croce. Chiaro?
Sì, per il suo autore, lo schintoista giapponese Hidetoschi Nagasawa e così pure per il comitato per i restauri, presieduto dal vescovo Adriano Caprioli, che ha chiuso con il restauro del Duomo di Reggio Emilia il suo mandato di 13 anni in diocesi.
No invece, per buona parte dei fedeli reggiani, che si sono opposti con ogni forza all’innovativa croce senza crocifisso che avrebbe dovuto fare bella mostra di sè sul presbiterio della Cattedrale sulla quale, al termine dei restauri durati un decennio, è piombata come una scure la parola magica per la quale i liturgisti più à la page ora impazziscono: adeguamento liturgico. Il vescovo aveva approvato i bozzetti dell’opera, salvo poi fare marcia indietro dopo che la barca crociata o l’albero barcato, insomma, quella cosa lì, era finita sulle prime pagine dei quotidiani locali, facendo insorgere i fedeli.
Era successo meglio che nella più riuscita delle spy story: un kamikaze si era introdotto furtivamente in sagrestia e aveva fotografato il bozzetto, poi di soppiatto lo aveva fatto avere alle redazioni de Il Giornale di Reggio e Il Resto del Carlino, ai quali non è parso vero di trovarsi di fronte allo scoop. E da lì è partita la rivolta con lettere e dibattiti pubblici. Così Caprioli ha dovuto fare marcia indietro, anche se ha giustificato il tutto spiegando che, dato che l’arte contemporanea è di difficile digestione, non bisogna lasciare indietro il popolo. Dunque, meglio aspettare.
Le altre opere che compongono il cosiddetto adeguamento liturgico invece, sono rimaste segrete fino alla fine. «Perché il loro fine è liturgico e non museale», è la tesi del vescovo ausiliare, Ghizzoni. Macché: impacchettate per un mese per evitare che facessero la stessa fine della povera croce, dicono i detrattori. L’epifania domenica scorsa, quando, nel corso della diretta televisiva su un’emittente locale, i fedeli tutti hanno potuto ammirare le opere delle blasonate archistar finalmente svelate come l’ultima monoposto di Maranello.
Si tratta di un altare composto da due blocchi di marmo di Carrara, che già alcuni blog tradizionalisti ribattezzano sprezzantemente «l’altare dei Flinstones», opera di Claudio Parmiggiani. A sostenerlo, un basamento circolare che dopo averlo visto il critico Vittorio Sgarbi ha definito «un formaggio fuori dal contesto che snatura l’altare». Questo tanto per rendere l’idea di come sia stato il dibattito in questi mesi.
Gli altri pezzi forti sono un candelabro porta cero pasquale azzurro elettrico. È un tubo cilindrico con scanalatura che dovrebbe richiamare il passaggio del popolo nel Mar Rosso, dovrebbe. Opera dell’artista (?) Ettore Spalletti. Poi c’è la cattedra del vescovo di Jannis Kounellis, maestro di arte povera e firma tra le più quotate e dunque molto costosa sul mercato del contemporaneo, anche se tutti gli artisti ci hanno tenuto a specificare hanno lavorato gratis. Montaggio, materiali, trasporto e fornitori, ovviamente no.
Al povero Nagasawa sono rimasti da firmare solo la scalinata d’accesso al pulpito, diventato ambone, con i gradini disposti come un coltello seghettato su cui si scommette già su quale sarà l’accolito che si beccherà la prima frattura scomposta, e il porta evangelario.
Fin qui gli arredi. C’è poi il capitolo del vero e proprio adeguamento liturgico che ha sconvolto i fedeli. Il vescovo siede in cattedra fuori dal presbiterio nella navata centrale del tempio, nonostante il Messale non lo prescriva. I banchi per inginocchiarsi sono stati tolti dappertutto, per fare spazio a comode, pratiche e mobili sedie. Così inginocchiarsi, una delle tre posture prescritte dal Messale, diventa un’impresa, a patto che non lo si voglia fare sulla nuda terra. Dopo alcune proteste, i banchi sono stati rimessi, almeno nella cappella del Santissimo. Ma solo quattro o cinque.
Sotto accusa anche la triplice disposizione dei fedeli all’interno della navata centrale. La maggior parte guarda verso il presbiterio, una parte è di fianco alla cattedra, un’altra siede di fronte al vescovo, come nella schola.
«È stato completamente snaturato il concetto di orientamento a Cristo che viene, rappresentato dall’altare, dalla centralità del crocifisso e dall’eucarestia», è una delle principali critiche emerse in questi mesi, nel corso dei quali in città e anche fuori, si è sviluppato un vivace dibattito sulla chiesa madre, che non ha risparmiato anche accese polemiche. A capo della protesta un architetto, Stefano Maccarini Foscolo che nella vita fa anche l’uomo di teatro e che un giorno ha preso carta e penna e ha iniziato a scrivere. Così ha organizzato la rivolta organizzando dibattiti pubblici a cui hanno partecipato esperti e liturgisti, tra cui don Nicola Bux, consultore presso la Santa Sede per la liturgia e l’ex Sovrintendente Elio Garzillo.
Fu in quella occasione che il sacerdote barese propose alla Cei di cancellare le norme per l’adeguamento liturgico delle chiese, edite nel 1996, perché con il motu proprio Summorum Pontificum Cura che codifica la forma straordinaria del Rito romano, queste perdono di senso. Ma anche perchè negli anni, di adeguamento in adeguamento si sono aggiunti abusi su abusi.
L’adeguamento a Reggio è stato al centro del lavoro di mons. Tiziano Ghirelli, responsabile dell’ufficio diocesano Beni Culturali, che ha architettato l’operazione, su suggerimento anche di quel mons. Gianfranco Santi che proprio a Reggio ebbe a dire che il Papa di liturgia «non sa nulla perchè è un dogmatico». Che in pratica è il contraltare ecclesiale di Umberto Eco, il quale diede del dilettante al Ratzinger filosofo.
L’idea portante è questa. Ci sono tre poli liturgici che devono essere ben distinti: il pulpito-ambone, luogo della Parola, la Cattedra, sede del magistero del vescovo e l’altare, che è Cristo. Tesi in contraddizione con l’orientamento esclusivo ad dominum su cui il Papa insiste da tempo.
Maccarini ha poi dato alle stampe un libro, edito da Fede e Cultura dal titolo suggestivo: Assassinio della Cattedrale, nel quale illustra le tappe che hanno portato a queste decisioni e lamenta la scarsa attenzione dimostrata verso i fedeli nella fase di dibattito.
La risposta della curia reggiana non si è fatta attendere. La linea è quella di considerare le critiche nel merito un attacco personale al vescovo, con lo spauracchio della perdita di comunione con il pastore. Ad esempio, il responsabile delle comunicazioni della Diocesi, don Emilio Landini, con Maccarini è stato molto chiaro: «Accanimento cieco e campagna denigratoria».
A sostenere la curia è arrivato anche il priore di Bose Enzo Bianchi, che ci ha tenuto a precisare di non essere un oppositore del Papa, ma ha comunque dato il suo placet alle opere della Cattedrale, e pazienza per quelle sviste sul rispetto del Messale. L’impressione a detta di molti è che per assecondare le smanie innovatrici di alcuni monsignori di curia inventatisi di colpo architetti, si sia fatto il passo più lungo della gamba e si sia così arrivati a cancellare quelle forme attravaverso cui per secoli la devozione e il senso del sacro si erano cristallizzati alimentandone anche la fede.
Cosicchè il vescovo, dietro al quale ora in tanti si fanno schermo addossando a lui l’ultima parola, si è convinto a dare il suo via libera e a scrivere anch’egli un libro sulla Cattedrale con prefazione del Cardinal Ravasi.
Il tutto mentre in Vaticano il Papa istituisce una commissione "urgente" per vigilare sulla costruzione delle nuove chiese ed evitare gli scempi degli ultimi anni. Con buona pace delle archistar.