RadioSpada,
24 novembre 2024.
- a cura di Luca Fumagalli
A mezzo secolo dalla scomparsa di J.R.R. Tolkien, il suo legendarium seguita ad essere apprezzato in tutto il mondo, con numerosi nuovi lettori che ogni anno si aggiungono alla folta schiera degli appassionati di vecchia data. Chi ha avuto la fortuna di immergersi con gusto tra le pagine degli scritti del professore di Oxford finisce inevitabilmente per pensarla come C. S. Lewis, il quale, all’epoca della pubblicazione de Il Signore degli Anelli, commentò: «È troppo originale, troppo ricco perché lo si possa giudicare a una prima lettura. Ma sappiamo che ci ha regalato qualcosa: non siamo più le stesse persone».
Uno degli aspetti più affascinanti dell’universo tolkieniano è proprio la sua dimensione mitica e fantastica che, paradossalmente, permette di comprendere meglio, a un’adeguata distanza, quell’infinito grumo di contraddizioni che è la vita. Ha perciò ragione Tom Shippey quando segnala che con la sua opera Tolkien stava facendo qualcosa di molto comune fra i romanzieri del Novecento: nel ruolo di sub-creatore, raccontava di mondi e creature che non esistono, non per ignorare la realtà, ma per guardarla in un modo nuovo. Del resto nel legendarium vengono affrontati temi universali quali il potere, l’amore, l’ignoto, la vita e la morte, questioni radicali dell’essere umano, destinate a non passare mai di moda.
Nel corso degli anni sono state avanzate svariate interpretazioni dei lavori di Tolkien, non di rado contraddittorie, frutto di letture parziali o ideologiche, tanto che c’è pure chi è arrivato all’estremo di denunciarli come un manifesto maschilista, fascista e razzista. D’altro canto, troppo spesso il professore è stato trattato dagli estimatori alla stregua di un santino, ridotto, nel peggiore dei casi, a un serbatoio di slogan e frasi d’effetto a buon mercato. In Italia, poi, il travisamento a scopi politici è una regola, e purtroppo una lettura della sua opera sgombra dai pregiudizi, che tenga solamente conto della visione dell’autore, pare ancora molto difficile (giusto per citare l’ultimo esempio in ordine di tempo, basti pensare alla serie televisiva Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere, che di tolkieniano mantiene solo il nome).
È proprio dal desiderio di percorrere questa strada tortuosa, di ridare dignità al legendarium, che nasce Guardare verso Occidente di Paolo Nardi e Nicola Nannerini, entrambi studiosi e appassionati divulgatori dell’opera di Tolkien su YouTube.
Basandosi su una vasta bibliografia critica, gli autori riescono nella complicata operazione di portare in primo piano i testi tolkieniani, offrendo di essi un’interpretazione convincente, in grado di mostrare i limiti di certe esegesi miopi e partigiane. Si resiste inoltre alla tentazione di vedere in ogni particolare tracce della fede di Tolkien e, allo stesso tempo, il saggio è capace di svelare tutta la complessità della Terra di Mezzo, frutto di una scrittura che è qualcosa di molto più profondo del semplice stilare manifesti da nostalgico del passato o sussidi per il Catechismo. Come riporta l’introduzione, il «libro si occupa di tutte quelle questioni che oggi sembrano incontrare poco favore da parte dei creatori dei prodotti transmediali e poca accoglienza nel pubblico odierno: il tempo, la morte, l’immortalità, il destino e il libero arbitrio in relazione […] a elfi e uomini che vivono ognuno di questi ambiti in maniera diversa. […] Si è cercato di rispettare l’idea stessa di Tolkien, cioè quella dell’indipendenza del Mondo Secondario, che deriva dal Mondo Primario ma non dipende da esso».
Dopo una prima parte in cui ci si sofferma sulla genesi e lo sviluppo del Silmarrillon – uno dei massimi problemi della narrativa legata alla Terra di Mezzo –, Guardare verso Occidente affronta il tema spinoso del ruolo delle donne nel legendarium, riuscendo a dimostrare come quest’ultimo sia tutto improntato sulla complementarietà di maschile e femminile. Ampio spazio è poi dedicato alla trattazione di alcuni particolari geografici e di una serie di questioni irrisolte legate alla natura di alcune creature difficilmente inquadrabili nell’universo tolkieniano. In chiusura è posta una riflessione sulla natura e la tematica ambientale, altro ambito in cui il professore di Oxford non dà soluzioni precise o pronte all’uso.
Il libro di Nardi e Nannerini si dimostra dunque una guida preziosissima e utile. A questo punto c’è solo da sperare che gli autori possano regalarci altri libri così, godibili e intelligenti, magari per analizzare ancora più nel dettaglio il vasto e complesso universo letterario nato dalla penna di quel genio indiscusso che fu Tolkien.