Pubblicato su lanuovabq.it, 27 giugno 2022.
a cura di Maurizio Brunetti
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Un romanzo ambientato a Pisa prende le mosse da un capolavoro medievale che si trova a pochi passi dalla celebre torre: il "Trionfo della Morte". Le drammatiche vicende vissute dai protagonisti riflettono quel dipinto divenuto fin troppo reale, ma con il quale si intreccia anche il trionfo della vita, che si ostina a riaffiorare.
Dei quattro monumenti che impreziosiscono la Piazza dei Miracoli a Pisa, quello che più spesso sfugge al turista frettoloso è il camposanto monumentale, all’interno del quale è possibile ammirare – di nuovo nel loggiato dal 2018, dopo nove anni di delicati restauri – il Trionfo della Morte. Si tratta di un imponente affresco – lungo 15 metri e alto più di 5 – oggi attribuito a Buonamico Buffalmacco (†1340) gravemente danneggiato da uno delle molte decine di bombardamenti statunitensi subiti dalla città tra il 1943 e il 1944.
L’opera di Buffalmacco, risalente agli anni Trenta del secolo XIV, è tra le prime a esplorare un tema iconografico molto "frequentato" in Europa soprattutto dopo la Peste Nera del 1348: per quanto gli uomini si industrino a far finta che le cose stiano diversamente, la morte incombe su ognuno di noi, senza distinzioni di classe, posizione, censo o età. La vivacità narrativa che generalmente si riconosce a quest’opera pittorica e la critica alle vanità mondane che affiora in alcuni suoi dettagli sono strumentali alla composizione del «quadro grande», cioè una meditazione grandiosa, ma ancorata al reale, sul tema del dolore e della precarietà della vita.
L’affresco pisano di Buffalmacco fa da quinta teatrale alle vicende narrate in Scacco matto alla morte, romanzo d’esordio di Stefano Chiappalone recentemente pubblicato da Fede & Cultura (pp. 144). L’autore da circa un decennio si occupa di temi legati alla via pulchritudinis, la via della bellezza, riflettendo su un aspetto che la crescente aggressività del relativismo rende vieppiù prezioso: il rapporto tra arte e verità. Un filone che non riguarda strettamente gli addetti ai lavori, poiché la bellezza non è semplicemente un valore da contemplare – ogni volta che è possibile – al di fuori di noi, ma anche da custodire e coltivare nel proprio cuore.
Di arte si interessa anche Tancredi, il protagonista del romanzo, che, alla soglia dei quarant’anni – e quindi, in un certo senso, “nel mezzo del cammin di sua vita” – si trova ad intraprendere una sorta di “viaggio dantesco” nella sua Pisa, città che lo ha accolto sin dagli studi universitari. Tancredi è responsabile della pagina culturale di una testata imprecisata e vuole raccogliere materiale sugli affreschi del Buffalmacco.
Il lettore scoprirà ben presto che il protagonista è pure impegnato in una ricerca di radici e di senso e che, da questo punto di vista, i suoi incontri – tra gli altri, l’anziano e giudizioso professor Lambertoni, un’amica dei tempi dell’università, «Angelica di nome e di fatto», accademici in carriera più o meno affabili, un’avvenente libraia e il senzatetto Bernardo, un “ultimo” destinato a cambiare la storia (sia pure solo con la minuscola) e a contenere la curvatura tragica degli eventi – si dimostreranno tutt’altro che inutili.
Il fatto di sangue che fa da motore narrativo aggiunge al libro le tinte di una crime story, e Tancredi si ritrova essere il principale indiziato di un omicidio. La vicenda e le indagini proietteranno un continuo gioco di riflessi tra le scene vissute dai protagonisti e quelle dell’affresco, tra la morte dipinta e quella reale, con tutte le domande e le inquietudini che suscita. Scacco matto alla morte, tuttavia, non è soprattutto un giallo, ma è un’opera che potremmo collocare a metà strada tra il Bildungsroman, il romanzo di formazione, e il realismo magico: se, nelle prime pagine, il lettore è invitato a condividere col protagonista lo stupore dinanzi alla grandiosità anche sapienziale de Il trionfo della morte di Buffalmacco, la dinamica degli eventi che, nella loro rapidità, si succedono quando il romanzo si sta avviando alla conclusione permetterà allo stesso lettore di ammirare attonito il trionfo della vita.
La serie di colpi di scena che si rincorrono va, infatti, a modellare una vera e propria eucatastrofe di tolkieniana memoria, e la sorprendente, ma non inverosimile, forza interiore di cui alcuni personaggi si dimostrano capaci costituisce un ulteriore scacco alla morte – quella spirituale, stavolta – che il mondo cinico e relativista della modernità vorrebbe spacciarci per ineluttabile.