Pubblicato su Riscossa Cristiana, 21 ottobre 2013.
- A cura di Pietro Vassallo
Nelle attuali circostanze la tentazione del pessimismo è quasi irresistibile per i fedeli, che contemplano, attoniti e sconfortati, la rivoluzione della teologia e della liturgia e la desistenza del magistero cattolico.
Si affacciano alla memoria le sconvolgenti e purtroppo attuali parole pronunciate dall’amareggiato Paolo VI durante un colloquio con Jean Guitton: “C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di San Luca ‘Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?‘ (Lc. 18,8). Capita che escano libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino strani questi libri. Ciò che mi colpisce quando considero il mondo cattolico, è
che all’interno del Cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del Cattolicesimo diventi domani il più forte”.
Il giorno temuto dal deluso e dolente Paolo VI è già incominciato? Si può negare che la Chiesa post-conciliare è tormentata da una ridda di pensieri in turbinosa e talora grottesca libertà?
I fedeli sono obbligati a sospendere il giudizio e a non cedere alla tentazione catastrofista. Tuttavia non si può negare l’apparizione di segnali di disordine inusuale e desolante.
Quale esempio dell’autorevole e impunito delirio teologico, che riversa sul popolo di Dio si possono citare suggestioni stravaganti, quali l’inferno vuoto, l’incarnazione di Cristo in ogni uomo, la Chiesa che ricomprende tutta l’umanità, la trasformazione del sacrificio eucaristico in banchetto, l’assoluzione della buona coscienza degli atei militanti, la tesi su Dio non cattolico, l’irrisione dell’attività degli evangelizzatori e degli oppositori all’aborto, l’opinione secondo cui gli ebrei non devono convertirsi a Cristo, il rispettoso silenzio davanti alla professione dei sodomiti ecc..
In questi ultimi anni sono andati in scena anche gesti imbarazzanti e grotteschi esibizioni, l’ossequio ai libri delle false religioni, i vescovi ballerini a Rio de Janeiro, gli stregoni convocati alla festa ecumenica di Assisi per sacrificare un gallo sull’altare di Santa Chiara, il Papa che interrompe la celebrazione della Santa Messa per parlare al telefono, il Vicariato che rifiuta di celebrare i funerali di un peccatore convertito, il papa che si allontana dalla mensa dei francescani di Assisi e pianta in asso i cardinali per dimostrare la sua vicinanza ai poveri, ovvero la scortesia usata come segnale dell’umiltà ecc..
Nella Chiesa di papa Francesco I il pensiero non cattolico e la prassi originale circolano trionfalmente. Se non che l’accelerazione delle curiosità ha causato una forte e del tutto imprevista crescita degli oppositori e dei renitenti al “pensiero non cattolico all’interno del Cattolicesimo”.
Di qui l’approfondimento del disagio e la larga condivisione della critica alla nuova teologia: “Fino a poco tempo fa, sostengono Gnocchi e Palmaro, il solo pensare di potersi porre in modo critico dinanzi al Vaticano II appariva come una cripto eresia per la coltre di silenzio che necessariamente doveva regnare, ammantandolo solo di lodi. Eppure, dopo quarant’anni e più, siamo dinanzi a un dato innegabile: la Chiesa si è lentamente e progressivamente secolarizzata”.
Il partito conciliarista, che era riuscita ad isolare e a screditare Monsignor Lefevre e Romano Amerio e ad imporre la squalifica di “Iota unum” (definito sprezzantemente libro nero) adesso tenta con affanno di arginare l’incontenibile dissenso mediante la censura o l’emarginazione (di Gnocchi e Palmaro, ad esempio) autori di articoli, che osano criticare, con argomenti inoppugnabili, le esternazioni di stampo conciliare del regnante pontefice.
Va da sé che la reazione allo sconforto esige la testimonianza di studiosi capaci di coniugare il pessimismo della visione con l’ottimismo della ragione e della fede. Tali qualità sono possedute in grado eminente dal filosofo Paolo Pasqualucci, emerito dell’università di Perugia e autore dell’avvincente e documentato saggio "Cattolici in alto i cuori", edito in questi giorni dalla veronese Fede & Cultura.
La prima parte del saggio di Pasqualucci è una profonda riflessione sul bilancio degli ultimi cinquanta anni di vita ecclesiastica, riflessione compiuta sulla traccia delle indicazioni di Romano Amerio, di mons. Brunero Gherardini, di padre Serafino Lanzetta, di Roberto De Mattei e di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro.
La primo allarmata osservazione di Pasqualucci riguarda la secolarizzazione della Chiesa cattolica: “la Chiesa si è adeguata al secolo, ai valori di quel mondo che essa, per divino mandato del suo Fondatore, ha invece il dovere di di convertire a Cristo. … Bisogna rendersi ben conto del significato gravissimo di questa constatazione: la Chiesa secolarizzata è una chiesa che è diventata oggettivamente negligente e rinunciataria, avendo rinunciato alla Missione di conversione e salvezza del mondo per la quale Nostro Signore l’ha istituita”.
Secondo la puntuale analisi di Pasqualucci causa remota e dai più inavvertita della diserzione dei nuovi preti è l’infondato giudizio di Giovanni XXIII sull’autocorrezione del pensiero moderno.
In una fase storica segnato dalla metamorfosi nichilistica della filosofia moderna e da un’invenzione, la pillola anti-concezionale, promossa quale strumento della rivoluzione sessuale, papa Roncalli dichiarava, inaugurando il Vaticano II, che il mondo moderno aveva felicemente iniziato il ripensamento del suo pensiero e che perciò era superflua la condanna di errori indirizzarti felicemente al tramonto.
Pasqualucci al proposito rammenta: “I segni inquietanti dei tempi furono del tutto ignorati da Giovanni XXIII. Nella situazione morale e psicologica di allora, gravida di pericoli per la fede, … il Vaticano II si inserisce con un messaggio ottimistico e tranquillizzante: l’umanità ha fatto grandi progressi e cammina verso orizzonti inimmaginabili di prosperità e di pace. In termini musicali un allegro con brio”.
Narcotizzato da un ottimismo, non lontano parente delle pie illusioni che la belle époque aveva trasmesso alla fragilità dei modernisti, il Vaticano si avviò sui sentieri della felicità immaginaria e paciosa: “L’impostazione irenica voluta dal beato Giovanni XXIII impedì che il Concilio prendesse posizione critica nei confronti … delle degenerazioni edonistiche e materialistiche della democrazia, che già si stavano profilando. … Queste desistenze derivavano dal proposito inaudito del Papa di voler di fatto abolire la condanna degli errori”.
Conseguenze di tale illusione fu la scelta di definire pastorale un concilio come il Vaticano II, i cui protagonisti mescolavano, nel corpo dei monumentali e verbosi documenti, mezze verità e mezzi errori.
Il primo esempio addotto da Pasqualucci è la contraddizione tra le generose concessioni all’idea di governo collegiale del Chiesa e le restrizioni stabilite da Paolo VI nella Nota previa.
Nella conseguente incertezza il governo della Chiesa naviga a luci spente: “il primato, quanto alla titolarità della summa potestas, è stato intaccato e la cosa non manca di far sentire la sua influenza sulla vita della Chiesa. Dal Concilio in poi serpeggia una critica continua al Papa perché non si consulta a sufficienza con il Collegio dei vescovi. Inoltre si tende a negare la legittimità a ogni decisione che il Papa prenda da solo, nell’esercizio appunto del supremo potere di giurisdizione, che gli compete uti singulus, perché gli viene da Nostro Signore.”
Vista la contestazione strisciante nelle Conferenze Episcopali, Pasqualucci, pur riconoscendo la loro origine pre-conciliare, dichiara di sperare che la futura riforma della Chiesa ridimensioni il loro ruolo o addirittura le abolisca.
Inquietante è inoltre la confusione introdotta dal Vaticano II nella liturgia. La costituzione “Lumen Gentium”, insinua invero una definizione nebulosa, secondo cui “il sacerdozio ministeriale o gerarchico e il sacerdozio comune dei fedeli sono ordinati l’uno all’altro”, affermazione che attenua e quasi fa scomparire la superiorità del sacerdozio gerarchico su quello comune. Opportunamente Pasqualucci cita l’enciclica “Mediator Dei”, pubblicata da Pio XII il 20 novembre del 1947, un testo in cui si afferma, invece, che “i fedeli, per via del Battesimo, che imprime in loro i carattere cristiano sono deputati al culto divino partecipando così, convenientemente al loro stato, al sacerdozio di Cristo“. Ora la sottile intenzione soggiacente alla sibillina novità introdotta dalla “Lumen Gentium”, è accreditare l’idea che il sacerdozio sia tratto da un più antica società dei fedeli.
Pasqualucci sostiene legittimamente che dall’ambiguità del testo in oggetto ha origine l’alluvione dei paroliberieri in azione dai pulpiti, dalle cattedre e dai palchi delle comunelle dei sedicenti veggenti, in estasi davanti allo spettacolo offerto da rivoluzionari paesaggi: “su affermazioni come questa si basano oggi i preti e le suore disubbidienti che contestano su ogni cosa il magistero, sostenendo erroneamente che Gesù non ha mai costituito una Chiesa gerarchica, ma solo una comunità o società di fedeli, prima e libera depositaria del suo insegnamento e pertanto legittimata a interpretarlo a suo piacimento“.
Avvincente è il capitolo dedicato alla rovinosa irruzione della neolingua, strumento di comunicazione irrazionale, che obbedisce al seguente concetto: il cristiano può essere istruito sul senso del Vangelo dal non cristiano.
Nel vocabolario ecclesiastico, la neolingua ha generato un’insanabile ed estenuante logorrea: “l’inane discettare delle Conferenze Episcopali che in tutto il mondo ogni anno producono documenti per un totale di 40 milioni e 700 mila pagina. Documenti che nessuno legge, diciamo la verità. Le chiese restano vuote, le vocazioni continuano a latitare [e quando si manifestano sono considerate con sospetto e ostacolate dalla gerarchia, come è accaduto ai Francescani dell'Immacolata] il numero dei cattolici aumenta solo in Asia e in Africa solo perché aumenta la popolazione di quei continenti“.
L’alluvione della prolissità, l’irruzione del non senso e dell’assurdità, alla luce della puntuale indagine condotta da Pasqualucci, si rivela dipendente “dall’intenzione anomala, dal contro-spirito che ispirava i documenti [del Vaticano II], il quale sapeva di dover procedere mimetizzandosi il più possibile”.
Per proteggere gli errori e le oscurità prodotte dal concilio, la gerarchia vaticana ha rovesciato la definizione ufficiale di concilio pastorale in concilio super dogmatico, al fine di diffondere la convinzione che sia un eretico, da scomunicare, il qualunque critico del Vaticano II, arditamente definito Nuova Pentecoste.
La tollerantissima pastoralità si rovescia pertanto in una intollerantissima difesa dell’immaginario dogma implicito o surrettizio. Al proposito Pasqualucci rammenta che “col Vaticano II abbiamo un Concilio che, pur dotandosi di un fine pastorale, ha preteso di riformare ab imis l’intera Chiesa … al fine di aggiornare la dottrina e la pastorale tradizionale della Chiesa ai valori del mondo contemporaneo”.
Valori cadaverici, che hanno contagiato il pensiero cattolico allontanandolo dai problemi reali, che sono posti dalla decomposizione della suicidata illusione moderna.
Quali rimedi al contagio mortifero, che ha oscurato il vero significato delle verità cattoliche, Pasqualucci propone, anzi tutto, un programma di studi teologici intesi a preparare i fedeli alla resistenza ai sofismi diffusi da teologi che usurpano e deformano l’insegnamento della dottrina tradizionale.
La promozione di tale attività missionaria è compito di una minoranza colta, capace di affrontare quell’odio della verità generato del mondo moderno, che è purtroppo assimilato dalla fazione modernizzante attiva nella Chiesa cattolica.
Pasqualucci pertanto propone un piano di studi minimo, pur avvertendo che non esiste uno studio in cui la facilità incontra la serietà. Tale programma deve essere conforme alla Tradizione e all’insegnamento di San Tommaso d’Aquino, Dottore comune della Chiesa.
Quali esempi di devozione cristiana, Pasqualucci propone San Tommaso di Kempis, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, San Francesco di Sales, Santa Caterina da Siena, Santa Teresa d’Avila, Santa Teresa di Lisieux.
Infine il saggio si rivolge ai fedeli che intendono risalire la corrente mossa dai devastatori, citando un testo scritto da Sant’Alfonso per rammentare che Dio è un Padre misericordioso, che insegue il peccatore per condurlo a salvezza.